CULTURA &TEMPO LIBERO

 
 
 

SCIENZA E FILOSOFIA

 
HOME DEL DOSSIER
La domanda

Storia delle idee

Filosofia minima

La storia non è un tribunale

di Paolo Rossi

Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva
commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
20 settembre 2009

L'idea di una separazione netta, chiara, ovvia e definitiva tra la realtà oggettiva e indiscutibile dei fatti e il carattere soggettivo e discutibile delle interpretazioni appartiene a una cultura che è diversa da quella che caratterizza la grande maggioranza degli storici di professione. Direi che anche la tesi secondo la quale gli storici dovrebbero arrivare a chiudere questioni aperte non mi sembra difendibile. Gli storici hanno una incancellabile tendenza: quella di considerare aperte tutte le questioni e di continuare a discutere e a diversamente interpretare. Molto raramente si illudono di chiudere delle questioni. Se non fosse proprio così non potremmo spiegare un innegabile dato di fatto. È esistito un solo Descartes, ma nella cultura di oggi circolano molti Descartes, abbastanza diversi l'uno dall'altro. E questo vale per qualunque altro filosofo o letterato o poeta o artista o uomo politico o scienziato. Vale addirittura per i personaggi inventati dalla fantasia dato che incontriamo molti Amleti diversi l'uno dall'altro e anche molte Madame Bovary e non pochi Raskolnikov.

Alla radice di ciò che chiamiamo ricerca storica sta il gusto della ricerca, il piacere di scoprire, mettere in relazione le idee fra loro e le idee con i fatti, soprattutto e prima di ogni altra cosa il piacere di organizzare un percorso non già interamente noto e per intero codificato. Si parla non ingiustamente di passione per la ricerca. Ci si accorge che non è solo il futuro a essere imprevedibile. Quando scoprono nuovi sentieri gli storici mostrano che è imprevedibile anche il passato. Che anche il passato è pieno di cose nuove e sconosciute.

Di fronte al caso Galilei – come è documentato nel volume di M.Artigas, M. Sanchez de Toca, Galileo e il Vaticano, prefazione di Gianfranco Ravasi, Venezia, Marcianum Press, 2009 – il Vaticano ha imboccato la molto discutibile via di un processo al processo. Agli storici vennero affidati compiti immani. C'è chi pensava che un gruppo di specialisti potesse elaborare «una visione sintetica del caso Galileo storicamente affidabile» e che «i fatti sicuri» potessero essere stabiliti una volta per tutte. Si lamentava infine l'assenza di una sintesi «nella quale si distinguessero i fatti storici veri e propri dalla implicazioni filosofiche, teologiche e culturali, spesso opinabili, associate a quei fatti». Nella lunga vicenda della questione galileiana molti hanno parlato di ragioni e di torti, della necessità di esami spassionati e obiettivi e si è per esempio scritto che è «assai arduo ogni tentativo di ripartire le colpe con oggettività e con giustizia». Ma è vero che gli storici hanno lo stesso compito dei giudici di un tribunale? O che il loro compito assomiglia a quello dei giudici di un tribunale? Che a essi spetta il compito di distribuire i torti e le ragioni ?

Di fronte al moltiplicarsi delle cosiddette "leggi della memoria" rivolte a stabilire il modo corretto di ricordare e definire un determinato evento storico, più di novecento storici di 43 differenti paesi hanno firmato nel 2008 un appello (il cosiddetto Appel de Blois, pubblicato su «Le Monde») contro la tribunalizzazione e la moralizzazione della storia. Vorrei che un punto fosse chiaro: non sto in alcun modo istituendo un paragone tra il lodevole proposito di una serena ridiscussione del caso Galileo e le leggi della memoria che prevedono sanzioni penali per chi sostiene determinate tesi storiografiche. Sto solo cercando di mostrare che la metafora del tribunale non ha oggi diritto di cittadinanza nella comunità degli storici di professione. Nelle discussioni di questi ultimi anni i termini "tribunalizzazione" e "moralizzazione" sono stati più volte usati come sinonimi. E questo mi conduce assai vicino al seguente problema: ci si può rivolgere agli storici per distribuire i torti e le ragioni? Ancora una volta per identificarli con dei giudici? Per gli storici, che senso può avere l'affermazione secondo la quale un individuo vissuto 400 anni fa aveva torto nel temere alcune cose o nel considerare alcune idee come estremamente pericolose? In un brano diventato celebre, ho letto la seguente frase: «I giudici di Galileo credettero, indubbiamente a torto, che l'accettazione della rivoluzione copernicana – peraltro non ancora definitivamente provata – fosse di natura tale da far vacillare la tradizione cattolica e che fosse loro dovere proibirne l'insegnamento».

John Donne è uno dei grandi, immortali poeti che scrisse versi nel primo Seicento. L'anno successivo alle scoperte di Galileo scrisse che la nuova filosofia insegna a dubitare di tutto, che non sappiamo più dove collocare il Sole e non sappiamo più quale sia il luogo della Terra; scrisse che molti giungono spontaneamente ad ammettere che il mondo si è sbriciolato nei suoi atomi. John Donne non guardava professionalmente il cielo, ma per guardare dentro e fuori di sé disponeva di quel potente telescopio/microscopio del quale dispongono i poeti. Se il mondo si è sbriciolato – questa la sua conclusione – appare distrutta ogni coerenza, si è disfatto ogni rapporto e di conseguenza è scomparso o sta per scomparire anche quel cemento che tiene assieme la società. Si sbriciolano anche i rapporti tra gli esseri umani, proprio là ove sembravano più stabili e solidi: non solo nel mondo della politica, ma anche all'interno della famiglia, tra i figli e i genitori: parole come principe e suddito, padre e figlio hanno oggi perso ogni significato. Ha un qualche senso dire che John Donne aveva torto? Gli storici di oggi sarebbero chiamati a decidere se era giusto o ingiusto, ragionevole o irragionevole, sensato o insensato essere ottimisti o pessimisti sui destini del genere umano nella prima metà del secolo XVII? Mi ha un po' confortato il severo giudizio finale contenuto nel libro: «La Commissione pontificia non ha prodotto nessuna conclusione, ma solo una serie di lavori dispersi».

  CONTINUA ...»

20 settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva
RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-